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Mazzotta: «Io, banchiere, dico sì a interventi dello Stato»

di Paolo Madron

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Il presidente della Popolare di Milano, Roberto Mazzotta

Roberto Mazzotta si presenta all'intervistatore con un pizzino e un libro. Nel primo il presidente della Popolare di Milano, che a suo tempo una metamorfosi trasformò da cavallo di razza democristiano in banchiere, ha scritto a matita una frase di Thorstein Veblen: «La depressione è innanzitutto una malattia nervosa dell'uomo d'affari». Ironia della sorte, l'economista americano è morto nel '29, ovvero l'anno della grande depressione, o forse della piccola se confrontata all'attuale. Il libro invece, tanto per stare in tema, è "La grande depressione" di Murray Rothbard, teorico dell'anarco-capitalismo, dove si parla di quando il presidente Hoover intervenì dappertutto per poi lasciare l'America in una rovina senza precedenti. Come dire: quanti oggi cercano rifugio sotto l'ala protettiva dello Stato domani se la passeranno male.

Difficile con i mercati che perdono l'8% al giorno non essere depressi e nervosi.

Sì, ma l'importante è non fare confusione nell'analisi e nei rimedi. Questa è una crisi che nasce in America per il fallimento di un mercato in balia di concorrenza sfrenata e mancanza di autocontrollo.

Colpa della politica monetaria?

Negli Stati Uniti sì: c'è stata inflazione di credito e tassi troppo bassi rispetto all'equilibrio del mercato. La Bce ha invece servito il sistema e l'economia in modo equilibrato.

Glielo dice lei agli industriali che quotidianamente maledicono gli alti tassi di interesse?

Gli industriali devono essere rispettati e ammirati quando riescono a realizzare prodotti di qualità. Non bisogna mai ascoltarli quando chiedono qualcosa al Governo. E tanto meno alla Banca centrale.

Ricette per uscire dal gorgo?

Nel lungo termine ripristinando regole di trasparenza e di mercato. Nel breve con strumenti di intervento straordinario. Una politica monetaria che garantisca la stabilità dei prezzi e degli scambi. E una politica fiscale usata per promuovere lo sviluppo.

Se la depressione è innanzitutto una malattia nervosa dell'uomo d'affari si va tutti dallo psicanalista?

La psicologia è importantissima, specie quando, come in questa situazione, ci sono da superare momenti di panico.

I Governi e le Banche centrali sono stati dei buoni psicologi?

Direi di sì. Hanno garantito i depositanti e ribadito che la banca è un'impresa che non fallisce, concetto inaccettabile in una situazione di vita economica e sociale ordinaria.

Senza offesa, ma non mi pare che la depressione abbia risparmiato i banchieri.

Ci mancherebbe, anche le banche nell'emergenza hanno inconsapevolmente celebrato la morte del mercato interbancario.

Torniamo ai clienti che si lamentano perché non date più credito.

Per servire il mercato le banche hanno bisogno di due cose: che la provvista sia realizzabile in modo efficace e ai tassi più bassi possibili; che la loro struttura patrimoniale, visto che siamo vincolati alle regole di Basilea, sia adeguata allo scopo.

  CONTINUA ...»

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